“Sentivo che mancava qualcosa e quella cosa era un periodo di formazione all’estero. L’opportunità è arrivata e mi ha aperto la strada che, oggi, mi fa lavorare come ricercatrice in una delle più prestigiose università americane”. Le parole sono di Elisa Torresani, assistant professor alla San Diego State University dove è volata sette anni fa dopo aver concluso gli studi di ingegneria all’Università di Trento. Dalla triennale al dottorato di ricerca.
“All’inizio non pensavo di frequentare ingegneria. Pensavo al mio futuro in ambito medico, ma le cose non sono andate come speravo. Così mi sono iscritta a ‘Ingegneria delle industrie alimentari’, un corso triennale che oggi non esiste più, scoprendo che quel settore faceva per me”, racconta Elisa.
La passione per i materiali ha cominciato a farsi largo in quell’occasione. Alla scelta del percorso specialistico, quindi, nessun dubbio: ingegneria dei materiali.
La scintilla che ha segnato la sua carriera di studentessa prima e di ricercatrice dopo è arrivata con i corsi di metallurgia. La metallurgia delle polveri, per la precisione, che ha scelto di fare oggetto della sua tesi. “Il mio relatore è stato il professor Alberto Molinari con la supervisione della professoressa Cinzia Menapace – puntualizza l’ingegnera –. E con lui ho voluto proseguire il dottorato di ricerca”.
Che cos’è la metallurgia delle polveri
“La metallurgia delle polveri fa riferimento alle tecniche utilizzate nell’industria per trasformare le polveri metalliche in componenti indispensabili per produrre una grande quantità di prodotti. Pensiamo alle piccole viti che vengono inserite negli occhiali o alle parti meccaniche di auto e aerei – spiega Torresani –. La più classica di queste tecnologie è la sinterizzazione che avviene dopo la pressatura delle polveri in uno stampo per dare una forma specifica. Il materiale viene trattato termicamente, ossia lo si riscalda a una determinata temperatura che dipende da materiale a materiale. Unendosi, le polveri danno vita al componente finale che, a seconda dell’applicazione a cui è destinato, avrà precise proprietà fisiche e meccaniche”.
Durante questo processo, tuttavia, l’oggetto subisce una riduzione delle dimensioni che non è uniforme.
“Ho studiato questo fenomeno che, in termini tecnici, è definito anisotropia. Sta a significare la variabilità delle caratteristiche fisiche o del comportamento meccanico di un oggetto lungo alcune direzioni (longitudinale, trasversale, radiale, tangenziale)”.
L’esperienza americana
Quale occasione migliore per approfondire questo fenomeno se non andando all’estero?
“Volevo provare un’esperienza fuori Trento per un paio di mesi. Grazie al professor Molinari sono entrata in contatto con il professor Eugene Olevsky, alla San Diego State University, il quale mi ha proposto un progetto di sei mesi. Mi sembrava un tempo infinito – confida Elisa –. Alla fine sono rimasta in America sette mesi per portare a termine alcune incombenze. Questa esperienza mi ha arricchito sia a livello professionale sia come persona”.
I rapporti con il professor Olevsky e il suo team sono proseguiti in seguito. Anche da lontano. Fino a quando è arrivata la proposta di ritornare in California per il post dottorato.
“Sono partita nel 2017, dopo essermi dottorata e aver collaborato per un breve periodo con il professor Matteo Benedetti su un progetto di manifattura additiva – prosegue –. Nel giro di tre anni sono stata nominata assistant professor, per cui all’attività di ricerca affianco anche l’insegnamento”.
Tra ricerca e insegnamento
Sul piano della ricerca continua a occuparsi di sinterizzazione. Non solo di materiali metallici, ma anche di ceramici. Il suo sguardo è rivolto alla manifattura additiva, in particolare a un tipo di stampa 3D chiamato binder jetting. “Stiamo cercando di capire come determinati parametri, presi in considerazione quando si stampa, possono influire nella sinterizzazione – commenta Elisa –. In questo ambito abbiamo dei progetti di collaborazione con UniTrento, specialmente con i professori Alberto Molinari, Ilaria Cristofolini e Marco Zago”.
Quanto all’insegnamento, le sue materie sono “Introduzione all’ingegneria dei materiali” e “Meccanica dei materiali”, rivolte ai triennalisti, e “Meccanica della sinterizzazione”, destinata agli specializzandi e ai dottorandi.
“È molto impegnativa la parte di insegnamento, anche perché, rispetto all’università italiana, oltre alle prove intermedie e finali viene richiesto di far svolgere dei ‘compiti a casa’ per mantenere allenati gli studenti. L’università americana è molto costosa e spesso chi la frequenta è costretto a lavorare per pagarsi gli studi. Per questo viene data la possibilità di alleggerire il peso della prova finale con dei compiti in itinere – afferma Torresani –. La preparazione punta molto sull’aspetto pratico, a differenza dell’Italia dove si è molto forti sulla teoria. Là ci sono diverse attività di laboratorio e progetti di gruppo che danno l’opportunità di imparare a lavorare assieme”.
Il bello di crescere
Non è un lavoro facile, ma i momenti positivi non mancano.
“Ciò che amo della mia professione è capire le cose, per quanto piccole siano, e stare accanto agli studenti. È bello vedere che pian piano diventano autonomi e che, in questo processo formativo, si è giocato un ruolo chiave – conclude l’ex studentessa di UniTrento –. Le energie dell’insegnamento, inoltre, sono ripagate dalla valutazione dei corsisti che finora hanno sempre apprezzato i miei modi. È un dato importante perché questi giudizi hanno un peso nell’avanzamento di carriera”.
Alla domanda se le piacerebbe tornare in Italia, Elisa è cauta. “Sì, ma non a breve termine – conclude –. Ho ancora molte cose da fare laggiù, vari progetti, nonché studenti e dottorandi che dipendono da me finanziariamente. E poi noto che le sfide mi stanno facendo crescere ancora molto. Non avrebbe senso lasciare proprio sul più bello”.