Ci sono insegnanti che lasciano un segno indelebile nel percorso di uno studente, non solo per le nozioni trasmesse, ma per il modo in cui accendono la curiosità e la passione per la conoscenza. Alberto Molinari è stato uno di questi maestri per molte generazioni di studenti. Con il suo entusiasmo, la sua dedizione alla ricerca e la capacità di rendere affascinante anche il più complesso dei fenomeni metallurgici, ha formato non solo ingegneri, ma pensatori e innovatori.
Ora, dopo una carriera straordinaria, è giunto per lui il momento di salutare l’università e iniziare un nuovo capitolo della sua vita. In questa intervista, ripercorriamo con lui alcuni momenti significativi del suo percorso, dalle sfide affrontate ai successi ottenuti, fino ai consigli per chi si affaccia oggi al mondo dell’ingegneria dei materiali.
Dopo una lunga carriera nella ricerca e nell’insegnamento della metallurgia, stai per concludere il tuo percorso accademico. Qual è stata la tua motivazione iniziale per intraprendere questa strada?
Non v’è dubbio che la motivazione principale è stata la possibilità che offre il lavoro del professore universitario di fare due mestieri in uno, entrambi affascinanti e stimolanti: quello del docente e quello del ricercatore. Ho realizzato questo mentre facevo la tesi di laurea vedendo da vicino il lavoro del mio relatore. Mi sono laureato in ingegneria chimica nel 1981 e in quegli anni gli ingegneri chimici trovavano lavoro molto facilmente nell’industria chimica italiana. Già prima di laurearmi avevo due opzioni in importanti industrie petrolchimiche. Ma ho deciso di attendere e ho partecipato ad un concorso bandito dall’IRST (oggi si chiama FBK) per una borsa di ricerca su un progetto sul trattamento termico degli acciai rapidi, per fare un’esperienza ulteriore nella ricerca guidato da due professori dell’Università di Padova che sono stati i miei Maestri, il prof. Tiziani e il prof. Ramous. Ho così avuto modo di conoscere ancora meglio il lavoro del professore universitario, e ho deciso che avrei voluto provare ad intraprendere questa professione. Sono stato fortunato perché fare ricerca e didattica è molto stimolante ed appagante.
Nel corso della tua carriera, hai assistito a un’evoluzione straordinaria nel campo dei materiali. Quali sono, secondo te, le scoperte più significative che hanno rivoluzionato la metallurgia negli ultimi decenni?
Molti materiali metallici tradizionali hanno registrato un’evoluzione ed uno sviluppo notevolissimo negli ultimi quarant’anni, anche se manca la percezione diffusa di questo processo. Penso, solo per fare un esempio, agli acciai altoresistenziali che all’inizio della mia carriera si limitavano a poche classi ed oggi contano invece un’ampia varietà, e trovano utilizzo nel settore automobilistico dove hanno garantito un elevato alleggerimento strutturale migliorando, nel frattempo, la sicurezza dei veicoli. Si tratta di acciai ad elevato contenuto di conoscenza che sono il risultato dell’applicazione delle basi teoriche della metallurgia fisica. Lo stesso processo di sviluppo è avvenuto negli acciai per utensili ed inossidabili, ma anche per le leghe di alluminio, di magnesio, di titanio, di nichel. In questi casi non si tratta di una rivoluzione, ma di uno sviluppo eccezionale garantito anche dai progressi enormi nei processi produttivi come, ad esempio, nella siderurgia. Verso la fine degli anni ottanta sono stati sviluppati gli intermetallici, che hanno avuto un buon successo e trovano impieghi importanti alle alte temperature. Poi abbiamo avuto i nanomateriali che però, nella metallurgia, non hanno avuto successo a causa della loro bassa duttilità e, di conseguenza, bassa tenacità. Ricordo la breve stagione dei vetri metallici, praticamente scomparsi dopo pochi anni anche dalla letteratura scientifica. Oggi sono molto popolari le leghe ad alta entropia, molto resistenti ad alta temperatura e oggetto di un’enorme attività di ricerca che sembra presagire un futuro più concreto di quello registrato dai nanomateriali metallici. Anche i processi di fabbricazione hanno registrato un notevolissimo progresso e sviluppo, per il miglioramento non solo del prodotto ma anche dell’efficienza energetica e dell’impatto ambientale. Penso ai trattamenti in vuoto per l’affinazione dei metalli liquidi, all’impiego del riscaldamento ad induzione e al plasma, oppure alle saldature allo stato solido e al plasma e laser, o alla pressatura isostatica a caldo con il raffreddamento rapido, solo per citare gli esempi che derivano dalle mie esperienze più recenti. Ma l’unica vera a propria rivoluzione è la manifattura additiva.
Il tuo lavoro ha avuto un impatto significativo sia in ambito accademico che industriale. Qual è stata la sfida più grande che hai affrontato e quale risultato ti rende più orgoglioso?
Penso di avere fatto una ricerca di buona qualità privilegiando la ricerca applicata, soprattutto in collaborazione con l’industria. La sfida più grande è stata quella di riuscire a fare ricerca in collaborazione con l’industria, generando risultati non solo applicabili, ma anche pubblicabili: due esigenze apparentemente contrastanti. Quando leggo il mio curriculum scientifico provo soddisfazione anche perché oltre alle pubblicazioni ci sono prodotti industriali di uso diffuso e processi attivi in non poche industrie nei quali c’è traccia concreta del mio lavoro. Son molto gratificato dall’aver collaborato a lungo con le principali industrie europee della metallurgia delle polveri. Penso anche di avere dato un contributo significativo alla conoscenza della sinterizzazione delle polveri metalliche. Il conferimento di due titoli di dottore honoris causa e la fellowship di due associazioni, una europea e l’altra americana, mi hanno fatto molto piacere, ma quello che mi rende veramente orgoglioso è scritto nel mio CV privato. Sono le lettere ricevute dai laureandi e dottorandi che hanno sentito il desiderio di farmi conoscere la loro gratitudine al termine del loro percorso degli studi.
La metallurgia è oggi al centro di molte innovazioni, dalla sostenibilità alla manifattura avanzata. Quali saranno, secondo te, le prossime sfide e opportunità per le nuove generazioni di ricercatori in metallurgia?
In una conferenza che ho tenuto ad un congresso in Spagna l’anno scorso, dove ero stato invitato a parlare dei magneti permanenti, ho detto di avere la sensazione di andare in pensione nel momento sbagliato, perché le sfide della sostenibilità richiedono lo sviluppo di molti materiali e processi che oggi non sono disponibili con le prestazioni richieste, per cui ci sono molti campi di ricerca stimolanti e ricchi di prospettive. Penso ai magneti permanenti basati sui metalli di transizione e le terre rare, penso ai catalizzatori per l’elettrolisi dell’idrogeno e per la conversione dell’anidride carbonica, penso ai materiali per lo stoccaggio dell’idrogeno allo stato solido. Penso alla sostituzione del cobalto nelle sue molteplici applicazioni e allo sviluppo di batterie che facciano il minor uso possibile di litio. Penso anche alle leghe di magnesio per le applicazioni nei dispositivi biomedici bio-assorbibili, ma anche per l’alleggerimento strutturale. Nell’ambito dei processi produttivi, c’è la sfida del green-steel, cioè della siderurgia ad emissioni molto basse (ridurle a zero, finché l’acciaio contiene carbonio, mi sembra veramente difficile). Esiste inoltre la sfida dei processi produttivi secondari, quelli cioè basati sul riciclo di scarti di produzione e di componenti a fine vita. In questo ambito la siderurgia è un esempio da imitare. La manifattura additiva ha raggiunto una buona maturità in alcuni processi ed applicazioni, ma c’è ancora del lavoro da fare per portarla alla maturità e all’affidabilità delle tecnologie manifatturiere tradizionali quali, ad esempio la forgiatura e la fonderia. E per molte applicazioni potenzialmente molto interessanti, penso ad esempio al settore della produzione di energia, è necessario sviluppare nuove superleghe che siano adatte ai processi di fusione con laser di un letto di polvere o alla deposizione diretta con laser. Sono molti i temi di ricerca sui quali un giovane può impostare la propria attività, quelli che ho qui citato sono gli esempi che mi vengono in mente sulla base delle mie esperienze più recenti. Esiste però la necessità che il nostro Paese si doti di una politica industriale e della ricerca che metta i materiali non dico al centro, ma almeno in una posizione privilegiata perché la grande sfida della sostenibilità può essere vinta solamente se avremo a disposizione i materiali e le tecnologie appropriate.
Dopo tanti anni di insegnamento e ricerca, quale messaggio vorresti lasciare ai tuoi studenti e ai giovani che vogliono intraprendere questa carriera?
Il momento più stimolante nella ricerca è quello nel quale si ha il risultato di un esperimento e si vuole proporne un’interpretazione, una giustificazione. In quel momento dobbiamo usare due strumenti: le nostre conoscenze e la capacità di ragionare. Due strumenti che si costruiscono giorno dopo giorno, e che non si smettono mai di sviluppare ed affinare, se si hanno curiosità e senso critico. Ecco, il messaggio è quello di esercitare sempre la curiosità ed il senso critico, combinati con una buona dose di umiltà, che è una delle più belle qualità che un uomo e una donna possano esprimere. Nella didattica invece invito ad essere rigorosi con gli studenti ma anche con se stessi. E generosi. Considero un privilegio avere avuto la possibilità di contribuire con il mio lavoro alla formazione di due generazioni di ingegneri. Anche perché mi rendo conto che sono invecchiato stando a contatto con i giovani. E questo mi ha aiutato a capire il mondo che è cambiato moltissimo, ed a viverci meglio.
Infine, ora che ti allontani dal mondo accademico, ha già qualche progetto per il futuro? Continuerai a collaborare con il settore o ha altri interessi che vuoi coltivare?
Non riesco ad immaginare di smettere del tutto di lavorare e di studiare. Continuerò quindi per alcuni anni a lavorare, anche se non a tempo pieno, facendo consulenze all’industria, che è un’attività professionale di grandissimo interesse.
Nel tempo libero voglio girare l’Italia e l’Europa, anche in bicicletta, e le nostre bellissime Dolomiti. E leggere soprattutto, ma non solo, libri di storia.