Nel 2015 l’umanità ha “ascoltato” per la prima volta un’eco dell’universo primordiale: un segnale debolissimo, proveniente dalla collisione di due buchi neri avvenuta oltre un miliardo di anni fa. Un traguardo straordinario, reso possibile dagli interferometri LIGO e coronato nel 2017 dal Premio Nobel per la Fisica.
Ma rilevare le onde gravitazionali è tutt’altro che semplice: il passaggio di queste increspature dello spaziotempo deforma lo spazio in modo impercettibile, modificando la lunghezza di un braccio dell’interferometro (lungo chilometri) di una frazione del diametro di un atomo. È come cercare di percepire un movimento nella lunghezza di un campo da calcio pari a un decimillesimo dello spessore di un capello.
In questo contesto, la luce diventa il nostro strumento più potente. O meglio: la luce quantistica.
Per misurare variazioni così piccole, gli interferometri devono combattere contro il rumore quantistico: fluttuazioni intrinseche alla natura stessa della luce. Ma grazie alla luce squeezed (ossia “compressa” in una delle sue componenti quantistiche), oggi è possibile ridurre questo rumore fino al 50%, aumentando il volume dell’universo osservabile di un fattore 3.
Come funziona? La luce squeezed è prodotta attraverso protocolli di ottica quantistica, che manipolano i fotoni in modo da ridurre l’incertezza su una delle variabili (fase o ampiezza) della luce. Questo consente di aumentare la precisione dei rivelatori, sfruttando ogni singolo fotone al massimo del suo potenziale.
Anche il Dipartimento di Ingegneria Industriale è parte di questa frontiera della ricerca. Nel laboratorio di Integrated Quantum Photonics, in collaborazione con i colleghi del Dipartimento di Fisica e del laboratorio Advanced Interferometry and Quantum Optics, i ricercatori stanno lavorando a una nuova generazione di sorgenti di luce squeezed basate su fotonica integrata.
Ma cosa significa? La fotonica integrata è una tecnologia che permette di guidare e manipolare la luce all’interno di strutture sub-micrometriche, chiamate guide d’onda, molto simili ai circuiti elettronici. La differenza è che al posto della corrente elettrica, nei circuiti fotonici si propaga luce.
Nel laboratorio del DII, la luce squeezed viene generata utilizzando film sottili di niobato di litio, un materiale che combina ottime proprietà ottiche e flessibilità di integrazione. L’obiettivo è ambizioso: creare una sorgente compatta, stabile ed efficiente di luce squeezed, adatta ad essere inserita nei futuri interferometri gravitazionali come l’Einstein Telescope.
I ricercatori del DII hanno già raggiunto un traguardo significativo: per la prima volta sono riusciti a generare e misurare nel loro laboratorio stati di luce squeezed tramite fotonica integrata. Ora il lavoro prosegue per ottimizzare queste sorgenti, valutandone l’efficienza e la stabilità, e confrontandole con le tecnologie attualmente utilizzate, basate su cristalli ottici “bulk”.
L’obiettivo è chiaro: semplificare i rivelatori futuri, ridurne le dimensioni e i costi, e allo stesso tempo migliorarne le prestazioni. Perché ogni fotone conta, quando si tratta di ascoltare l’universo.
Fig. 1 Guida d’onda in niobato di litio del laboratorio di fotonica quantistica.
Nel mondo quantistico, anche la luce è soggetta a incertezze: non è possibile conoscere con precisione assoluta sia la sua ampiezza (intensità) sia la sua fase (variazione nel tempo). Questo principio, simile a quello di Heisenberg, genera un “rumore di fondo” inevitabile nei rivelatori ottici.
La luce squeezed (cioè “compressa”) è uno stato quantistico della luce in cui questa incertezza viene ridotta su una delle due variabili (ad esempio la fase), a scapito dell’altra.
In pratica: comprimendo l’incertezza dove serve, si ottiene una misura più precisa.
Questa tecnica è fondamentale nei rivelatori di onde gravitazionali, dove anche il più piccolo segnale deve emergere da un rumore quantistico sempre presente.
La fotonica integrata è la disciplina che sviluppa circuiti in grado di manipolare la luce su chip di piccolissime dimensioni, utilizzando guide d’onda che funzionano in modo analogo ai fili nei circuiti elettronici.
Nei circuiti fotonici non viaggia corrente, ma viaggiano fotoni – cioè particelle di luce – instradati, modulati, e combinati per svolgere funzioni complesse: dalla comunicazione alla computazione quantistica.
Rispetto all’ottica tradizionale (basata su specchi e lenti), la fotonica integrata offre:
È una tecnologia chiave per applicazioni di frontiera come l’ottica quantistica, i sensori avanzati e i rivelatori di onde gravitazionali del futuro.