La sicurezza e la durabilità delle costruzioni sono temi che toccano direttamente la vita quotidiana di tutti noi. Dall’edilizia civile alle grandi infrastrutture, la capacità di un materiale di mantenere le proprie prestazioni nel tempo non è solo una questione tecnica ma anche sociale: proteggere persone e beni significa garantire stabilità, ridurre i costi di manutenzione e promuovere la sostenibilità.
In questo scenario si inseriscono i compositi fibrorinforzati (FRCs), materiali costituiti da fibre (vetro, carbonio, basalto) immerse in una matrice polimerica. Il loro successo è legato al rapporto favorevole tra resistenza meccanica e peso, che li rende ideali per applicazioni strutturali. Tuttavia, nonostante i vantaggi, questi materiali hanno un punto debole ben noto: l’interfaccia tra fibra e matrice.
L’interfaccia è la zona di contatto tra fibra e matrice. Proprio qui, sotto carico, spesso si originano i fenomeni di distacco interfacciale (debonding). In pratica, anche se la fibra e la matrice rimangono integre, l’insieme può cedere in modo improvviso e catastrofico se l’adesione tra i due componenti è insufficiente. Questo rappresenta una criticità importante per l’uso dei compositi in applicazioni strutturali, dove la sicurezza non può essere compromessa.
La ricerca si è concentrata proprio su questo punto debole, affrontandolo da due prospettive complementari:
Per migliorare l’adesione sono stati esplorati due metodi originali.
Questi due approcci, pur molto diversi tra loro, hanno mostrato risultati incoraggianti e hanno dimostrato che lavorare sull’interfaccia è una strategia efficace per migliorare le prestazioni dei compositi.
Un secondo filone di ricerca ha puntato su un obiettivo ambizioso: ottenere compositi autoriparanti, capaci di recuperare le proprietà interfacciali dopo un danno. L’idea è che un materiale possa “curarsi” grazie a rivestimenti polimerici applicati direttamente alle fibre.
Sono stati utilizzati rivestimenti di poli(ε-caprolattone) (PCL), un polimero termoplastico che può subire fusione reversibile mediante riscaldamento ad una temperatura relativamente bassa (circa 60 °C). Le fibre di vetro e di carbonio sono state rivestite in due modalità:
Il risultato è notevole: significa che un danno che normalmente ridurrebbe drasticamente la vita utile del composito può essere annullato con un semplice trattamento termico, riducendo così costi di manutenzione e aumentando la sicurezza.
Il passo successivo sarà testare queste interfacce in condizioni ambientali realistiche. Fattori come temperatura, umidità e cicli termici possono infatti influenzare fortemente le prestazioni a lungo termine dei materiali. Comprendere come queste variabili incidono sulle nuove soluzioni è fondamentale per passare dalla ricerca in laboratorio all’applicazione concreta in edilizia, infrastrutture e trasporti.
La ricerca, condotta dalla dottoranda Laura Simonini, è stata presentata al convegno AIMAT, dove ha ricevuto il premio come Miglior Tesi di Dottorato nell’ambito dell’Ingegneria dei Materiali.
Fig. 1: Laura Simonini in visita all’Università di Tampere in Finlandia.
Fig. 2: Modellazione FEM del distacco interfacciale.