Non capita tutti i giorni di poter intervistare un collega… e anche un amico. Flavio Deflorian, laureato in Ingegneria dei Materiali all’Università di Trento e oggi Rettore dell’Università, è un esempio di come passione, curiosità e dedizione possano portare lontano. Con lui parliamo del percorso che lo ha portato dalla ricerca sui materiali alla guida dell’Ateneo, del ruolo del DII e delle sfide che ci attendono. Un dialogo a metà tra memoria, visione e, perché no, qualche ricordo condiviso.
Flavio, partiamo dagli inizi: quando eri studente al DII, te lo saresti mai immaginato che un giorno saresti diventato Rettore?
Questa domanda ha una risposta facile: no. Non me lo sarei mai aspettato e non era fra le mie prospettive. Innanzitutto quando ero studente mi immaginavo di lavorare in una industria come ingegnere di processo. Noi due abbiamo studiato assieme e molti ricordi li abbiamo condivisi e tante volte abbiamo discusso da studenti del nostro futuro che immaginavamo nel mondo della produzione industriale. Già la scelta di rimanere a fare ricerca in università è stata un cambio di direzione. Ma certamente non mi aspettavo di avere un ruolo gestionale così importante come fare il Rettore di una comunità così ampia e diversificata come quella dell’Università di Trento.
Se guardi indietro al tuo percorso accademico e professionale, c’è un momento in cui hai pensato: “ok, questa è la direzione giusta”?
Ognuno nella vita prende delle strade ed è difficile avere controprove che altri percorsi sarebbero stati migliori o peggiori. Diciamo che io ho intrapreso dopo la laurea una carriera nel mondo della ricerca, cominciando con il dottorato e poi con delle posizioni da ricercatore, e non me ne sono mai pentito. E’ un lavoro stimolante che mette a contatto con studenti e imprese (la mia è sempre stata una ricerca vicina al mondo produttivo), stimola la curiosità. Non ci si annoia mai e questo è già un elemento importantissimo. Poi si vive in una comunità internazionale, si viaggia molto e ci si confronta con colleghi di tutto il mondo ed è un ulteriore pregio importante. Non ho mai avuto ripensamenti e ancora oggi mi ritengo fortunato.
Tu sei sempre stato legato al mondo dei materiali e dell’innovazione industriale. Quanto pensi che il DII abbia inciso nel darti gli strumenti per crescere in questo campo?
Io sono cresciuto in questo dipartimento, pur evoluto nel tempo anche nel nome, e quello che so fare e la mia crescita la devo in primo luogo al dipartimento, il che vuol dire alle persone che ci hanno lavorato e ancora ci lavorano. Da alcune di loro ho imparato molto e continuo a farlo (il lavoro del professore universitario è soprattutto continuare a imparare). Per questo provo un profondo senso di gratitudine per tutto quello che ho avuto in termini di crescita professionale da questo dipartimento.
Università e imprese oggi devono dialogare sempre di più. Dal tuo punto di vista privilegiato, dove possiamo, come Dipartimento, fare ancora meglio?
Questo dipartimento, come altri in Ateneo, fanno già molto nella collaborazione con le imprese. Spesso più di quanto si conosca e si percepisca dall’esterno. La collaborazione è utile sia per le imprese che per l’Università perché fa crescere una cultura comune dell’innovazione. Si può sempre fare di più e meglio. Credo che la prossima frontiera sia una progettazione congiunta dell’innovazione più strutturata. Meno legata a progetti spot e più organica.
Parliamo un attimo di futuro: quali sono, secondo te, le sfide più intriganti per chi oggi studia e lavora in ingegneria dei materiali?
Quando abbiamo iniziato noi a studiare l’ingegneria dei materiali c’era la percezione di un ambito di frontiera nella tecnologia e nella scienza. Poi sono arrivate alla ribalta altri ambiti, dall’informatica alla recente intelligenza artificiale. Ma noi viviamo in un mondo materiale e molte tecnologie sono limitate dai materiali che le possono supportare. Quindi la scienza e tecnologia dei materiali è più attuale che mai, declinata nelle nanotecnologie o in altre discipline di frontiera, e c’è tanto da fare per chi voglia cimentarsi in questi ambiti.
Come Rettore, ti capita di dover guardare molto in avanti. Se pensi all’Università di Trento nel 2030, che ruolo vedi per il DII e per i nostri studenti?
Se hai la responsabilità di ragionare su una istituzione così importante come l’Università di Trento, hai l’obbligo di guardare avanti. Il mondo cambia velocemente e spesso in modo imprevedibile, quindi prevedere il futuro è arduo. Quello che credo è che il mondo industriale e manifatturiero è ancora al centro della nostra società ed economia. Per questo il DII, le sue ricerche ed i suoi studenti, rimarranno centrali per lo sviluppo locale, nazionale e internazionale. Dobbiamo essere pronti ad adattarci ai cambiamenti, rimanendo saldi nella nostra vocazione di ingegneri industriali.
Ultima, più personale: cosa ti motiva ancora oggi, dopo tanti anni di ricerca, didattica e adesso responsabilità di governo dell’Ateneo?
Il nostro lavoro è vario e stimolante, includendo ricerca, didattica ed in qualche caso, come per me, anche responsabilità gestionali. È un grande privilegio avere modo di rappresentare e contribuire a governare l’Università di Trento. Gli stimoli sono tanti, ma la mia motivazione principale parte sempre dai nostri studenti e studentesse, dalle nuove generazioni. Abbiamo la grande responsabilità di contribuire a formare, non solo professionalmente, ma anche culturalmente e come persone, migliaia di futuri cittadini. Non credo possa esserci motivazione più forte.